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CRONACA POLITICA

da maxbor il 11 ott 2010 09:16


IL CAVALIERE RIVOLUZIONE IL PARTITO
"PRIMA DELLE ELEZIONI CAMBIO TUTTO"
Il nome e il simbolo vanno modificati per evitare ricorsi legali da parte di Fini e di Fli. E Berlusconi pensa a una donna al comando. Una riforma radicale che dovrebbe partire a gennaio in vista di elezioni in primavera

CARMELO LOPAPA su Repubblica.it (11.10.2010)



ROMA - Un partito a sua immagine. Un partito dal volto giovane. Che sia tutt'uno col "governo del fare". Poche pedine alle leve di comando e dalla fedeltà blindata. "Voglio un Pdl più berlusconiano. E voglio un partito vero, con dirigenti locali rinnovati, cancellando ogni residua cellula finiana sul territorio".
Il presidente del Consiglio atterra a Roma e spiega a pochi collaboratori il senso del messaggio lanciato in mattinata dalla dacia sul lago appena fuori San Pietroburgo. Missiva indirizzata ai diccì di Rotondi, che chiama in causa lo strappo degli ex ora approdati a Fli, ma che è ad uso molto interno. Comunicazione ai naviganti, sul vascello in burrasca del Pdl. Tutto o quasi da rifondare, nei piani del Cavaliere che - raccontano - intende affidarsi ancora una volta (e in via esclusiva) al suo estro e alla sua intraprendenza manageriale. Un nuovo predellino per capovolgere il partito da cima a fondo. Non subito, però. Con molta più probabilità da gennaio, soprattutto nell'eventualità che la crisi precipiti e che si vada al voto in primavera.

Ed è proprio in vista di uno show down, racconta un ministro ben informato, che si lavora già al nuovo simbolo, dato che quello del Popolo delle libertà risulta "co-firmato" con Gianfranco Fini, come l'intero statuto del partito, d'altronde, e il suo utilizzo esporrebbe a possibili ricorsi legali. Quindi, via al partito con un "profilo berlusconiano" ancor più marcato. Lo va ripetendo da giorni, il presidente del Consiglio, accompagnando questa idea con l'immagine di dirigenti dal volto "giovane e spendibile nel marketing politico". Molte donne, c'è da scommettere. Si partirà dal basso, da nuovi coordinatori provinciali e regionali. E da designare con criteri rinnovati: elezione diretta e non più designazione dall'alto, come avvenuto finora, per unzione del presidente. Provvederanno consiglieri locali e parlamentari eletti in quei territori. Modifica che sarà adottata già nell'Ufficio di presidenza convocato in questi giorni. Era in programma per giovedì, ma l'operazione alla quale si sottoporrà Berlusconi al polso, con ricovero forse già oggi a Milano, ha imposto uno slittamento alla prossima settimana. Ventata di freschezza, forse, ma anche esigenza di "bonifica" interna. Il premier non ne fa mistero coi vertici del Pdl: "Ora che Fini ha dato vita a un partito, non c'è più ragione per tenerci i loro coordinatori locali". Appartengono a Fli quelli regionali in Piemonte e Campania, per esempio, alcuni vice e una sfilza a livello provinciale.

Ma è sotto traccia che in questi giorni si sta consumando la resa dei conti tra i sostenitori del partito vecchia maniera, capitanati da Fabrizio Cicchitto, e i più giovani sostenitori della svolta "light", da Gelmini alla Carfagna a Frattini. "Il Pdl è stato creato per dire addio alla vecchia politica, non per tornare a tesseramenti e correnti" è la tesi sostenuta dal ministro degli Esteri. Quando parla di "rinnovamento", il presidente del Consiglio tuttavia è in alto che mira. Nessun avvicendamento nell'immediato per i tre coordinatori La Russa, Verdini, Bondi. Alla vigilia del voto, però, il nuovo brand imporrà una rivoluzione in via dell'Umiltà, ammette il premier ai più stretti collaboratori. L'idea coltivata negli ultimi mesi, quella di affidare il coordinamento unico a Mariastella Gelmini è stata abbattuta dalla contraerea dell'area ciellina dalla quale in Lombardia non si può prescindere e che fa capo a Roberto Formigoni e Maurizio Lupi.

Resta in stand-by, per ora nel chiuso del cassetto del Cavaliere, l'opzione Daniela Santanché. Mentre tornano a crescere le chance della guida a tre teste ma da affidare ad altrettanti ministri under 45. Il fedele Angelino Alfano, Giorgia Meloni, forte della sua conoscenza della macchina elettorale (scuola An) e Michela Vittoria Brambilla, già incaricata di organizzare il presidio dei "promotori della libertà". Prima di rimettere mano al partito, tuttavia, Berlusconi ha l'esigenza - caldeggiata a più riprese da Gianni Letta - di ricostruire un ponte con il Vaticano, dopo l'incidente della bestemmia e la reprimenda dell'Osservatore. Come altro leggere, suggeriscono in casa Pdl, l'annuncio di ieri di un "Piano per la vita per favorire natalità e famiglie"?


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COINCIDENZE ROMANE

ADRIANO SOFRI su Repubblica.it (9.10.2010)

STAVO facendo andare avanti e indietro il film della sfilata del primo ministro cinese Wen Jiabao e del primo ministro italiano Silvio Berlusconi davanti al picchetto d' onore nel cortile di Palazzo Chigi. Avevo la sensazione che guardandoli e riguardandoli avrei penetrato il mistero della storia e della geografia contemporanea. Berlusconi fa gli onori di casa, vuole apparire disinvolto, è tradito da un fisico inquartato e da un doppio petto tuttora inspiegato. WEN è un po' più rattenuto, è di statura modesta anche lui ma più smilzo, sta dentro un abito scuro a un petto, comodo, benché non quanto le casacche della sua gioventù invidiate dalla nostra, asseconda con grande docilità la guida dell' ospite. A un certo punto però, mentre tornano indietro sul tappeto rosso e devono fermarsi a metà per offrirsi ai fotografi, ho l' impressione che Wen sia preso da una piccola, quasi impercettibile impazienza, e accorci lui la mezza piroetta conclusa dalla stretta di zampa. Forse l' ho solo immaginato. Li riguardo: un buffo topo di città che illustra il cerimoniale all' agile gatto sornione in visita, che è appena passato dalla Grecia, e l' ha comprata, e sta per passare dalla Turchia, e trattarne l' acquisto. Si presta alle birichinate, Wen, in Francia si è messo il cappello di Napoleone, qui-a ognuno il suo- porge l' altra spalla alle pacche. Le unghie, le ha tirate dentro. Dopotutto l' importante è prendere il topo, e questo qui ti viene in bocca a passo di corsa. Ma ecco che il diavolo delle coincidenze ci mette un primo zampino. L' inchiostro con cui sono stati firmati affari per 100 miliardi in cinque anni - ehilà, una somma visibile a occhio nudo dalla luna - è ancora fresco, quando una pioggia micidiale (pur sempre una pioggia, tuttavia) inonda un sottopassaggio di Prato e annega tre signore che vanno a lavorare da operaie alle tre e mezza di notte. Di prima mattina, prima ancora di combattere con gli interrogativi sulle idrovore che non hanno funzionato o sul mancato allarme o sui soccorsi assenti - chissà se si sarebbe potuto fare meglio, ma peggio no - il sindaco di Prato, eletto sulla scia dell' esasperazione contro la Chinatown in tempo di crisi, si affrettaa proclamare che non ci sarà lutto cittadino. Non è razzismo, si è detto: probabile, e poi il razzismo oggi non si lascia mettere il sale sulla coda, con tanti grossi topi e gatti smilzi in giro. Non è razzismo, è un riflesso condizionato, erano tre signore cinesi. Se fossero state italiane, il problema non si sarebbe posto. O non si sarebbe chiesto il lutto cittadino, o non lo si sarebbe negato. Poi il comune ci ha messo una toppa, bandieraa mezz' asta, minuto di raccoglimento: però il lapsus era scappato. A essere cattivi, si potrebbe ricalcare il Mark Twain dell' incendio sul Mississippi: c' è stato un nubifragio, ma grazie al cielo senza danni alle persone, solo alcune auto distrutte, e tre cinesi morte. Prato non è lontana da Roma, Wen Jiabao deve averne sentito qualcosa, e provato un prurito alle unghie. Intendiamoci, il problema è grosso. Andate a visitare il carcere di Prato, e vedere quanti detenuti cinesi ci sono, e in che rapporti stanno col resto del mondo. Bene, ma lo zampino del diavoloè molto più ambizioso del piacere di pestare la coda alla festa romana delle pacche sulle spalle. Nella quale Berlusconi ha voluto finalmente elucidare il segreto della politica della Repubblica Popolare cinese, un quinto della popolazione mondiale, e del suo glorioso Partito Comunista, come un paragrafo della strategia del Popolo delle Libertà: «I governanti cinesi, come noi, sono fautori della politica del fare e preferiscono affrontare e risolvere i problemi piuttosto che irrigidirsi su questioni di principio». Poi, si è rallegrato dell' imminente sorpasso della Cina sugli Stati Uniti: l' Occidente è in rosso. Poi si è preparato ad andare a festeggiare il compleanno di Putin, un altro che sa essere elastico sui princìpi. Avrà anche fatto una telefonata d' affezione a Gheddafi. Ormai nella politologia di Berlusconi tutti i conti tornano. A Roma, in teatro, ha interpellato per errore i cinesi così: «Signori membri della delegazione residenziale russa». La lunga marcia di Berlusconi alla volta del Kazakistan interiore è ormai compiuta. E lo zampino del diavolo? Si è infilato nel Comitato norvegese del Nobel per la pace, l' unico che Alfred Nobel abbia riservato alla sua patria. E' una delle nicchie ancora renitenti alla strategia berlusconiana. Così il detenuto Liu Xiaobo, uno che si è irrigidito insopportabilmente su questioni di principio, ha avuto il premio. E Berlusconi ha immediatamente convocato a Pechino l' ambasciatore di Oslo per spiegazioni. No, non Berlusconi, il governo cinese. Il quale ha chiesto quanto può venire a costare la Norvegia. O forse l' ha chiesto Berlusconi.

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