da nebbiolo75 il 07 ago 2010 08:33
Quest’anno, durante i miei giorni di ferie, ho deciso di passare qualche giorno facendo un giro in Abruzzo a trovare amici sparsi in tutta la regione. Uno di questi amici è un mio ex collega che abita proprio a L’Aquila. Nella sfortuna generale della città, lui e la sua famiglia sono stati comunque fortunati, perché non hanno avuto morti e i danni alla propria abitazione sono risolvibili in tempi ragionevoli. L’ho sentito spesso in questi mesi dopo il terremoto, cercando di capire come potessi essere di aiuto. Fra le altre cose, ho inviato i soldi tramite l’associazione di volontariato di cui faccio parte e so che nonostante la somma sia stata consegnata a chi di dovere (un responsabile di un campo in un paesino terremotato), quei soldi sono solo serviti a far sopravvivere le persone all’interno del campo stesso. Sono soldi quindi che sono serviti per una prima emergenza, ma il bello viene ora nel momento di ricostruire. La mia intenzione di questo giro a L’Aquila, non era tanto curiosare fra le macerie come un turista macabro, anzi avevo chiesto al mio amico di andare solo a pranzo fuori in un ristorante, fare due chiacchere lì e contribuire solo in questo modo per far girare l’economia. Lui invece mi ha detto che un giro in città andava fatto e allora l’ho seguito.
Appena sono arrivato con l’auto, ho seguito le indicazioni per raggiungere casa del mio amico e non ricordavo che una delle vie da passare era proprio la tristemente nota ‘via 20 settembre’, quella della casa dello studente. Mi si è stretto il cuore a vedere quelle cose dal vivo. Un gelo. Non potevo tornare indietro…la via è solamente a senso unico e i palazzi intorno tutti transennati, inoltre sono stato fermo lì 10 minuti per la coda di macchine che c’era in quel momento. Arrivo a Collemaggio, la bellissima chiesa simbolo de L’Aquila, con la facciata integra e il resto distrutto e andiamo a mangiare in un ristorante nelle vicinanze, appena sfiorato dal terremoto perché la struttura è unicamente a piano terreno. Lascio perdere quello che abbiamo mangiato, conta poco e poi era un semplice ristoro, la mia intenzione come dicevo prima era di far girare l’economia anche (E soprattutto) qui.
Appena finito di mangiare ci dirigiamo all’ingresso principale della città, dal parco di Collemaggio all’angolo con via 20 settembre. Sotto questo parco ora ci sono dei casottini dove hanno trovato posto alcuni commercianti del centro storico che non hanno più l’attività. Qui cercano di vendere qualcosa, aiutati anche da piccole manifestazioni che si tengono nel parco per far tornare la gente in città. Entriamo nella via principale che taglia L’Aquila in due e sia a destra che a sinistra è tutto un insieme di palazzi transennati, perfino quelli marmorei e squadrati del ventennio, solitamente resistenti, hanno avuto i loro problemi. E se anche le facciate hanno resistito, come in alcuni casi è capitato, l’interno è andato completamente distrutto. Sulla nostra destra invece notiamo una pizzeria a taglio che ha riaperto i battenti, sarà uno dei pochi locali (per la precisione tre) che ha ripreso l’attività. Ce n’è una seconda che mi ha sorpreso molto, un bar chiamato Nero Caffè, vicino la piazza del Duomo, un locale questo, ultramoderno, riaperto da pochissimo tempo, al piano terra di un palazzo che non ha subito grossi danni. Ci vuole davvero coraggio a stare lì ma è giusto anche andare avanti. Entriamo nelle chiese simbolo dell’Aquila, almeno quelle visitabili. Ovviamente è tutto transennato, infatti ci sono ancora moltissimi operai, vigili del fuoco, esercito che stanno tuttora mettendo in sicurezza le strutture. Un’altra via aperta è quella che porta a San Bernardino. Arriviamo alla chiesa dopo aver superato un palazzo ‘transennatissimo’. Il mio amico mi spiega che quel palazzo era una scuola e queste transenne sono state pagate con i soldi che la Pausini & C. hanno raccolto con il loro tour. Il problema ora è ricostruirla, perché i soldi sono finiti. ‘E poi’, continua ancora il mio amico, ‘anche se un giorno dovessero finirla, con che coraggio mando mio figlio a scuola lì? Preferirei vederlo andare in una scuola nuova e sicura’. E’ questo che mi ha toccato molto, pensare al futuro della città. Razionalmente non è possibile una ricostruzione totale dei palazzi in chiave moderna e sicura. Essendo una città storica con le sue vie strette e talvolta pure ripide, piazzare delle gru per ricostruire è impossibile, a meno che uno non butta giù i palazzi vicini (sempre che siano d’accordo chi ci abitava). Forse la soluzione migliore è buttare giù tutto, lasciare solo i palazzi istituzionali e chiese, e poi il resto farlo tutto fuori città. Dentro le mura potrebbe essere fatto un parco che ricordi la città come era, ma poi basta perché il resto non si ricostruisce. Questo è quello che penso io, ovviamente da esterno, perché se avessi casa lì probabilmente parlerei in maniera diversa e i valori affettivi non hanno prezzo. Altra cosa da sottolineare, che mi fa pensare negativamente è che molte case del centro storico, erano seconde case di Aquilani che le affittavano agli studenti, in quanto L’Aquila è principalmente una città universitaria (anzi è la prima fonte di entrata economica). I fondi per ricostruire vengono dati solo alle prime case, quindi chi ha la seconda casa lì, si deve arrangiare. Secondo voi, quanti hanno i soldi (e la voglia) di rifarle? Secondo me nessuno. E allora ci saranno palazzine di condomini, dove ci sono sia prime che seconde case…e secondo me non verranno mai rifatte visto che gli accordi saranno difficili. Nota di merito per la macchina dei soccorsi: il piano case attuato da diverse istituzioni, ha funzionato. A prescindere dalle solite cose che scrivono i giornali (che sono pagati per scriverle), questo piano ha funzionato e le case sono perfettamente finite, fra l’altro sono pure carine e funzionali. Sicuramente meglio di bungalow e container. Qui è finito il mio viaggio a L’Aquila, continuerò a contribuire magari tornando e spendendo qualcosa sul luogo, perché solo così si ha un minimo di certezza che i soldi vanno a L’Aquila.
E' difficile dar da mangiare alla gente che non ha fame