Me li consentite un paio di "distinguo"?
Intanto, una premessa: io, al Joia, non ci sono mai stato, e probabilmente mai andrò, perchè non mi attira proprio, e ho passato da un pezzo il periodo in cui "provavo" per mera curiosità: ora vado dove so di uscire soddisfatto, o dove penso ragionevolmente di avere lo stesso esito.
Qui, però, la cosa è buffa davvero: i sapori del pranzo vengono liquidati con un generico "sa di plastica " e "zafferano e gazzosa". Nessun piatto, dico nessuno, viene considerato come cibo.
Di essi, il ricordo è esclusivamente formale, sensitivo, auditivo, tattile. In bocca, non si sa.
Ma allora è forse (forse) lecito chiedersi se sia davvero uno chef uno che non fa "mangiare", ma che porta la gente a.....Già: dove? Forse (ancora) a TEATRO. Il cibo come rappresentazione, come sinfonia (o disarmonia, va a gusti), ma assolutamente non come cibo. Ma allora Leeman appare davvero come un regista, uno sceneggiatore, probabilmente geniale.
Se vogliamo essere attenti alla lettera dell'articolo, Visintin dice esattamente questo: Leeman è un GENIALE umorista: ha solo perplessità sul fatto che sia uno chef.
Che io sia istintivamente d'accordo, viste le descrizioni dei "piatti", ha poca importanza.
Resta da vedere se (vecchio discorso) un "ristoratore" abbia o meno il diritto di fare, dell'estetica sensoriale, il vero oggetto dei suoi cibi al posto di fornire del materiale commestibile.
Qui, possiamo cominciare a scannarci a lungo, e, soprattutto, senza sicuramente mai addivenire ad una qualsivoglia conclusione (del resto, già l'abbiamo fatto).
Parere personalissimo ( ma, per fortuna, sufficientemente condiviso) io resto dell'idea che, per simili piaceri, vado a Teatro, e non al ristorante. Dove, tra l'altro, pago anche meno. Al ristorante ho comunque una condizione essenziale da soddisfare: devo avere ricevuto del nutrimento. Poi, questo nutrimento può essere elaborato in maniera che mi soddisfi particolarmente, magari fino al punto da suscitare in me l'emissione di mugolii, ma, certamente, nessuna "vista" o "tocco" mi procurerà soddisfazione SE NON abbinata a un eccellente sapore
e ad una ragionevole quantità.
Il giorno che ricevessi un'opera d'arte impiattata, fatta con schifezze, suggerirei con parole più o MENO garbate allo chef di recarsi al museo d' arte Moderna locale, e di imparare dai Dadaisti, , che, peraltro, hanno avuto vita breve , o dall'arte Pop degli albori, quando cibi plastificati venivano presentati all'adorazione del pubblico. Fino alla dissacrazione di Manzoni, con il suo "cibo in scatola"
Ripeto: tutto questo nasce dalla lettura dell'articolo, e da quello che "immagino" il critico abbia riscontrato: di esperienza personale, nulla ho da aggiungere.
Però.....
Una conclusione la posso e devo trarre.
Comunque la si guardi, a torto o a ragione, qui è stato servito un menù che ha tanto distorto l'idea di CIBO che persino un critico allenato, e probabilmente rotto ad ogni sorpresa, ha sentito il bisogno di esternare un grido di dolore e disperazione.
Lo ha fatto ridendo, poteva farlo con insulti feroci.
Dal mio punto di vista, rientra nei suoi diritti di utente: ci sta eccome.