Per trattare, commentare, informare su tutti i temi non classificabili nelle precedenti categorie.
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da butter_fly il 16 gen 2008 16:33


deloZio ha scritto................


utile ed opportuna citazione, Zidoleo (8)) me la leggo con calma...


da Fante il 16 gen 2008 16:45


E comunque, il fatto che il Ratzi abbia rinunciato per colpa/merito di una minoranza, è indice di una precisa volontà di esacerbare la polemica e lo scontro, mostrando ancora una volta un grande senso di responsabilità civile

da Bob il 16 gen 2008 17:32


silbusin ha scrittoBob dì qualcosa di sinistra! 8)


....e nun andà a destra, che ce sta er burone dela Maranella..... (A. Sordi, "Un americano a Roma")
Mi spiace, non commento. Sono esterrefatto.
Da nessuna parte, ma soprattutto in una univesità, si dovrebbe poter impedire il diritto di parola a chiunque. Accidenti, persino alle NU permettono che il Presidente dell'Iran neghi l'esistenza dell'Olocausto.....

"Sul vino, bevo qualunque cosa mi raccontiate, sul cibo, ci mastico abbastanza"

da Fante il 16 gen 2008 17:37


Bob ha scrittoDa nessuna parte, ma soprattutto in una univesità, si dovrebbe poter impedire il diritto di parola a chiunque.


Per la precisone, ma solo per la precisione, è il Vaticano che ha rinunciato. Il papa poteva andare a parlare. Non ha voluto.

da tpt il 16 gen 2008 17:38


Bob! Nessuno gli ha impedito il diritto di parola. Ci mancherebbe altro.
Peraltro mi pare abbia già un ottimo palcoscenico tutte le domeniche e tutti i mercoledì! Io parlo dell'opportunità di prendere la parola in un simile momento. Il giorno dopo nessun problema!
Mi credi se mi professo non atea? Per quante fesserie possa dire Benedetto 16° non raggiungerà mai i livelli del presidente iraniano.
Ma proprio in nome della libertà di pensiero e di espressione non si trattava dell'occasione giusta.

da Bob il 16 gen 2008 17:44


Scusami, tpt, non concordo. Non esiste una "occasione giusta" per la libertà di parola. O c'è, o non c'è. E il parlare in un ambiente ostile non mi sembra dignitoso.
E ora, mi taccio di nuovo.

"Sul vino, bevo qualunque cosa mi raccontiate, sul cibo, ci mastico abbastanza"

da silbusin il 16 gen 2008 17:51


Bob ha scritto Non esiste una "occasione giusta" per la libertà di parola. O c'è, o non c'è.

già.

da Fante il 16 gen 2008 17:53


Bob ha scrittoE il parlare in un ambiente ostile non mi sembra dignitoso.


Chissà cosa avrebbero da dire al riguardo quei preti di periferia che combattono la mafia con i loro sermoni

Mi taccio anch'io

da twentyfive il 16 gen 2008 18:18


tpt ha scrittoBob! Nessuno gli ha impedito il diritto di parola. Ci mancherebbe altro.
Peraltro mi pare abbia già un ottimo palcoscenico tutte le domeniche e tutti i mercoledì! Io parlo dell'opportunità di prendere la parola in un simile momento. Il giorno dopo nessun problema!
Mi credi se mi professo non atea? Per quante fesserie possa dire Benedetto 16° non raggiungerà mai i livelli del presidente iraniano.
Ma proprio in nome della libertà di pensiero e di espressione non si trattava dell'occasione giusta.


assurdo!! :shock:

da tpt il 16 gen 2008 18:19


Bob ha scrittoScusami, tpt, non concordo. Non esiste una "occasione giusta" per la libertà di parola. O c'è, o non c'è. E il parlare in un ambiente ostile non mi sembra dignitoso.
E ora, mi taccio di nuovo.

Bob, non stiamo parlando del Signor Nessuno che non ha altra occasione per proferire verbo ... ed in questo caso, il Verbo.
La libertà di pensiero e di parola è saccrosanta, ci mancherebbe altro.
Circa "l'occasione giusta" mi riferisco, mi pareva evidente al fatto che Ratzinger non è stato invitato perchè ha un sorriso che piace o perchè ha un taglio di capelli che tira, ma perchè è il Santo Padre. Se un cittadino italiano ha poche possibilità di far sentire la propria voce non lo stesso si può dire per lui. Se vuole parlare al popolo, se come lui spesso ricorda, il suo motto è "mi batterò affinchè tu possa esprimere la tua opinione, diversa dalla mia" ebbene lo faccia, anche alla Sapienza, in occasione di quello che si può definire un confronto con il corpo docente e con gli studenti, ma non in occasione dell'apertura dell'anno accademico, perchè in questo caso non è più confronto costruttivo ma indottrinamento bello e buono che nulla ha a che vedere con un'istituzione che deve e vuole rimanere laica proprio in nome della libertà di pensiero e di parola.

da tpt il 16 gen 2008 18:24


P.s. Scusa la doppia C in sacrosanta .... ero intenta a scrivere e non ci ho badato! :oops:

da fulvia il 16 gen 2008 20:54


....Lo ritengo un incredibile autogol che arriva in un momento topico dell'avvento della sinistra al governo..... :? I soliti idioti estremisti che fanno regredire le posizioni di 5 anni di sforzi......... :x

...gli adulti che fanno solo gli adulti, senza ascoltare il bambino che è dentro di loro, sono di una noia e tristezza mortale....
O. Vanoni

da silbusin il 16 gen 2008 21:24


tpt ha scritto... ma non in occasione dell'apertura dell'anno accademico, perchè in questo caso non è più confronto costruttivo ma indottrinamento bello e buono...

ma qualcuno ha mai visto l'apertura di un anno accademico?
non c'è il dibattito, ci sono varie o una sola lectio magistralis. poi interventi delle autorità a raffica, bla, bla, bla, poi il rettore che dice costantemente noi siamo i migliori ma lo stato non ci dà i fondi..., da Trento a Palermo.
Quindi, almeno tecnicamente, evitare di confondere i confronti con i vernissage accademici che pullulano di prime donne.

da egli il 16 gen 2008 21:32


a me ha colpito ieri: l'ira appena trattenuta di Mussi, il disagio profondo e sincero di Bersani e il compiacimento becero di Rodotà.
sulle cagate dette dal centro-destra non mi soffermo nemmeno.
per noi dell'ulivo, dopo anche il siluro Mastella, un bell'inizio dell'anno...
su tutti i giornali d'Europa e del mondo (spazzatura, Ratzinger, moglie del ministro della giustizia) un'Italia da governo sudamericano...un vero successo.

da Yoda il 16 gen 2008 22:14


egli ha scrittosulle cagate dette dal centro-destra non mi soffermo nemmeno.



..una cosa e' dirle.....un'altra ..ben peggiore e' FARLE

"Provare?...Fare!! O non fare. Non c'è provare!" Yoda...il Maestro

"guida poco...che devi bere..."
My flickr: http://www.flickr.com/photos/46442172@N02/

da tpt il 17 gen 2008 09:55


silbusin ha scritto
tpt ha scritto... ma non in occasione dell'apertura dell'anno accademico, perchè in questo caso non è più confronto costruttivo ma indottrinamento bello e buono...

ma qualcuno ha mai visto l'apertura di un anno accademico?
non c'è il dibattito, ci sono varie o una sola lectio magistralis. poi interventi delle autorità a raffica, bla, bla, bla, poi il rettore che dice costantemente noi siamo i migliori ma lo stato non ci dà i fondi..., da Trento a Palermo.
Quindi, almeno tecnicamente, evitare di confondere i confronti con i vernissage accademici che pullulano di prime donne.


Quindi concordi con me non si sarebbe trattato di un dibattito dove tutti dovrebbero avere diritto di parola (Papa compreso) ma solo di una passerella 'nvero?

da twentyfive il 17 gen 2008 09:59


egli ha scrittoa me ha colpito ieri: l'ira appena trattenuta di Mussi, il disagio profondo e sincero di Bersani e il compiacimento becero di Rodotà.
sulle cagate dette dal centro-destra non mi soffermo nemmeno.
per noi dell'ulivo, dopo anche il siluro Mastella, un bell'inizio dell'anno...
su tutti i giornali d'Europa e del mondo (spazzatura, Ratzinger, moglie del ministro della giustizia) un'Italia da governo sudamericano...un vero successo.



e' tutta roba di sx...
pero' destra o sinistra che sia, facciamo schifo!!!

da silbusin il 17 gen 2008 11:18


tpt ha scrittoQuindi concordi con me non si sarebbe trattato di un dibattito dove tutti dovrebbero avere diritto di parola (Papa compreso) ma solo di una passerella 'nvero?

L'apertura di un anno accademico non è un congresso è una cerimonia stucchevole dove ognuno cerca di "farsi vedere".
Questo vale anche per quello giudiziario e per tutti gli altri.

Per egli.
non concordo sulla paternità di una singola parte politica: è TUTTO il paese che ne esce male. dx/sx che sia.

da gobbaccio il 17 gen 2008 15:12


CITTA' DEL VATICANO, 16 gennaio 2008. Ecco il testo integrale dell'allocuzione che Papa Benedetto XVI avrebbe dovuto pronunciare all'universitá di Roma «La Sapienza» subito dopo l'inaugurazione dell'anno accademico, pubblicato dalla Santa Sede :

È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell'anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l'istituzione era alle dirette dipendenze dell'Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo.

Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l'impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l'Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell'accoglienza e dell'organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".

Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l'invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un'occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell'università "Sapienza", l'antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l'università del Papa, ma oggi è un'università laica con quell'autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all'autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l'università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un'istituzione del genere.

Ritorno alla mia domanda di partenza: che cosa può e deve dire il Papa nell'incontro con l'università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: qual è la natura e la missione dell'università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all'Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell'intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"-episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all'insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell'insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l'interno della comunità credente. Il Vescovo - il Pastore - è l'uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù - e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura - grande o piccola che sia - vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull'insieme dell'umanità.

Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa - le sue crisi e i suoi rinnovamenti - agiscano sull'insieme dell'umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell'umanità. Qui, però, emerge subito l'obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: che cosa è la ragione? Come può un'affermazione - soprattutto una norma morale - dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l'altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l'esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell'umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato.

Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell'umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee. Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l'intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.

Ma ora ci si deve chiedere: e che cosa è l'università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell'università stia nella brama di conoscenza che è propria dell'uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l'interrogarsi di Socrate come l'impulso dal quale è nata l'università occidentale. Penso ad esempio - per menzionare soltanto un testo - alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti . Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b - c). In questa domanda apparentemente poco devota - che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino - i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d'uscita da desideri non appagati; l'hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore.



Per questo, l'interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell'essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell'essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l'interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell'ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l'università. È necessario fare un ulteriore passo. L'uomo vuole conoscere - vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto - chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste.



Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell'interrogarsi socratico: qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l'ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell'incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.

Nella teologia medievale c'è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire - una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l'università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell'universitas significava chiaramente che era collocata nell'ambito della razionalità, che l'arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all'ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista.

Ma qui emerge subito la domanda: come s'individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all'essere buono dell'uomo? A QUESTO PUNTO S'IMPONE UN SALTO NEL PRESENTE: E LA QUESTIONE DEL COME POSSA ESSERE TROVATA UNA NORMATIVA GIURIDICA CHE COSTITUISCA UN ORDINAMENTO DELLA LIBERTA, DELLA DIGNITA UMANA E DEI DIRITTI DELL'UOMO. È LA QUESTIONE CHE CI OCCUPA OGGI NEI PROCESSI DEMOCRATICI DI FORMAZIONE DELL'OPINIONE E CHE AL CONTEMPO CI ANGUSTIA COME QUESTIONE PER IL FUTURO DELL'UMANITA. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica.

I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono - lo sappiamo - prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all'insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico. Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: che cos'è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d'interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza.

Torniamo così alla struttura dell'università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c'erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull'essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l'uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente.

Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda - in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta. Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall'altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d'Aquino - di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico - di aver messo in luce l'autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s'interroga in base alle sue forze.

Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell'università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull'avvincente confronto che ne derivò.

Io direi che l'idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all'umanità come indicazione del cammino.

Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell'umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un'istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all'interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi. Ebbene, finora ho solo parlato dell'università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell'università e del suo compito.

Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell'università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l'uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all'umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell'uomo, e di questo possiamo solo essere grati.

Ma il cammino dell'uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è oggi che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all'attrattiva dell'utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell'università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande.

Se però la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.

CON CIO' RITORNO AL PUNTO DI PARTENZA. CHE COSA HA DA FARE O DA DIRE IL PAPA NELL'UNIVERSITA'? SICURAMENTE NON DEVE CERCARE DI IMPORRE AD ALTRI IN MODO AUTORITARIO LA FEDE, CHE PUO ESSERE SOLO DONATA IN LIBERTA'. AL DI LA' DEL SUO MINISTERO DI PASTORE NELLA CHIESA E IN BASE ALLA NATURA INTRINSECA DI QUESTO MINISTERO PASTORALE E' SUO COMPITO MANTENERE DESTA LA SENSIBILITA' PER LA VERITA'; INVITARE SEMPRE DI NUOVO LA RAGIONE A METTERSI ALLA RICERCA DEL VERO, DEL BENE, DI DIO E, SU QUESTO CAMMINO, SOLLECITARLA A SCORGERE LE UTILI LUCI SORTE LUNGO LA STORIA DELLA FEDE CRISTIANA E A PERCEPIRE COSI GESU' CRISTO COME LA LUCE CHE ILLUMINA LA STORIA ED AIUTA A TROVARE LA VIA VERSO IL FUTURO.



Città del Vaticano, 16 gennaio 2008



Benedictus XVI

da Fante il 17 gen 2008 15:27


Morale?

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