wineless ha scrittoSecondo voi è corretto che questa, di 1967:
http://www.ilmangione.it/recensione.php ... sione=9737
sia catalogata come recensione, mentre quest'altra, mia:
http://www.ilmangione.it/recensione.php ... sione=8473
sia una segnalazione?
Non dico certo che la mia valga di più, infatti sinora non ho contestato il fatto che sia stata battezzata così, ma ora il paragone scatta in automatico.
Fatemi capire.
Caro Wineless,
non intendo drammatizzare, dopo la battuta sdrammatizzante di silbusin, ma...
sebbene creda di trovarmi di fronte a un veterano del sito, casco nella trappola e azzardo un’interpretazione da novizia cercando di salire dal
particulare al generale, per quanto sia consentito dallo specifico argomento.
Correggetemi se ho capito male.
Da quanto posso intuire, qui si valorizzano i testi con indicazioni dettagliate sui piatti (sia come stoviglie, sia come ricette) piuttosto che quelli con il racconto dell’esperienza complessiva di una visita a un ristorante. Il racconto di una trippa fumante è considerato dai Mangioni-che-contano meno utile della descrizione dettagliata di un piatto Villeroy e Boch contenente una porzione di 100 grammi di
fogliolo di vitellone con fagioli di Trino Vercellese e sugo di pomodori di Pachino con grana padano di Lodi etc. etc.
E in effetti come dare torto a questa impostazione editoriale? Ogni racconto basato sulle proprie sensazioni e sui ricordi - magari fievoli - di un pranzo fuori casa è indiscutibilmente suggestivo (se ben scritto), ma soggettivo; al massimo segnala una meta da condividere (quindi è una segnalazione!); non contribuisce a fornire elementi “oggettivi” che consentano di censire (come una recensione!) un locale e di fare confronti tra le fonti informative (le altre recensioni) per giungere alla “verità”.
Ma a noi recensori (o segnalatori) che importa? Una segnalazione (Wineless) può essere molto più bella di una recensione (1967), anche se meno utile.
Prendete la ricetta del risotto alla milanese (Risotto patrio. Rècipe) di Gadda (di seguito l’incipit).
Una massaia la riterrebbe utile? Certo che no.
Però forse un letterato la riterrebbe bellissima. E l’autore, probabilmente, non sarebbe dispiaciuto della discordanza di giudizi sul suo testo: potendo, (l’Ingegnere avrebbe frequentato la rete) forse non lo avrebbe inviato a un sito di massaie.
“L’approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e relativamente più tozzo del chicco tipo Carolina, che ha forma allungata, quasi di fuso. Un riso non interamente «sbramato», cioè non interamente spogliato del pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e lombardi, dei coltivatori diretti, per la loro privata cucina. Il chicco, a guardarlo bene, si palesa qua e là coperto dai residui sbrani d’una pellicola, il pericarpo, come da una lacera veste color noce o color cuoio, ma esilissima: cucinato a regola, dà luogo a risotti eccellenti, nutrienti, ricchi di quelle vitamine che rendono insigni i frumenti teneri, i semi, e le loro bucce velari. Il risotto alla paesana riesce da detti risi particolarmente squisito, ma anche il risotto alla milanese: un po’ più scuro, è vero, dopo e nonostante l’aurato battesimo dello zafferano.”