L'ho ripescata dai ricordi
E' DA ANTOLOGIA
Da Vittorio - Bergamo
articolo per il Sole 24ore Domenica, novembre 2003
Siamo da Vittorio, ristorante bergamasco di fama ormai decennale, soprattutto nel campo del pesce. Notorietà conquistata quando la ristorazione lombarda era prevalentemente carnivora e i gourmet, pur di mangiare del buon pesce, usavano “fare un salto” al Forte o a Portofino. Parlo naturalmente di quelle persone facoltose che non scarseggiano nel comprensorio bresciano e bergamasco. Fino a non molto tempo fa, i discorsi dei nuovi ricchi, oltre alle solite donne, auto e barche, montecarli e sardegne, a come far soldi senza rogne sindacali e poi metterli al riparo, terminavano regolarmente col dove andare a farsi “una mangiata” di pesce.
E Vittorio è stato per decenni una delle risposte più consuete a tale interrogativo.
All’arrivo, sul corso principale di Bergamo - poco illuminato alle nove di sera - un negro ti sorride rischiarando il buio con i suoi dentoni bianchi. E’in livrea rossa e tuba, proprio come quelli in legno che stanno sulla porta delle villette di cartapesta americane a simulare atmosfere da Via col vento. Il ragazzo, simpatico anche per questa sua anomalia paesaggistica, è lì per parcheggiare le auto e aprire la porta del locale. Suppongo sia anche il destinatario delle mance più consistenti, perché è rassicurante, ti fa sentire in uno di quei film di Eddie Murphy dove tutto finisce sempre bene. Entriamo dunque da Vittorio. La prima impressione è quella di trovarsi nel magazzino d’un droghiere alla vigilia di Natale: piramidi e colonne di barattoli di porcini, tonno, pesche al bourbon, fichi allo scotch, adeguatamente infiocchettati in un’ostentazione di opulenza da operetta. Nell’aria, fortissimo, l’odore dei tartufi. Sulla sinistra, invece, un grande tavolo con i pesci in bella vista; denticioni, oratone, scorfanoni, gamberoni, tutto in dimensioni “one”. Talmente grandi e tanti, che ci si chiede cosa ne faranno l’indomani.
Appliques a corolla, vetri satinati con disegni floreali, vasi con mazzi di fiori del genere “istituzionale”, quelli che si portano alla professoressa di latino e greco il giorno del suo compleanno. Credenze di scuro legno laccato, tovaglie in fiandra d’un verdolino satinato che fa venire in mente le vestaglie che prendono fuoco mentre la casalinga distratta passa accanto ai fornelli accesi. Mancherebbe solo una bambola di porcellana, ma in compenso nei bagni ci sono stucchi e statue marmoree dolenti, in simil Manzù. Il proprietario, un uomo imponente, segue con attenzione un po’ accigliata il lavoro dei camerieri, che in realtà sono efficienti, ma a lui evidentemente piace farli stare sul chi vive. Si capisce che gran parte degli avventori è di casa, perché Vittorio e la moglie stanno a lungo ai tavoli, poggiando magari la mano sulla spalla d’un cliente, mentre dialogano nell’idioma locale: “Trentasès ain che so’ che... perché stare a casa mi ‘noio”. Intanto, mentre arrivano degli insulsi stuzzichini, consultato il menu senza prezzo (quello per le signore), chiedo al mio accompagnatore se sia d’accordo a dividere con me il “Trionfo di crostacei al vapore” che va ordinato per due persone. Lo vedo perplesso; allora, dato che siamo in confidenza, gli strappo di mano il menu: 280 euro in due. Soprassiedo. E lascio perdere anche i primi con tartufo (quotati 70 euro) nonostante ci venga mostrata una scatola zeppa di tartufi grandi come pompelmi e straordinariamente profumati.
Intanto, sul tavolo viene appoggiata una brochure patinata che illustra contenuto e costo delle ceste natalizie, ciascuna col nome di un compositore classico, in un tripudio di caviali, salami nostrani, dolciumi, salmoni, spumanti e l’immancabile Dom Perignon. La più misera delle ceste, per prezzo e assortimento, la Chopin, costa 100 euro; mentre la più opulenta (1.500 euro) è ovviamente la Donizetti.
“Lasciatemi il vostro numero di telefono, che vi chiamo io” dice Vittorio a un gruppo di clienti: devono accordarsi per una “maialata” (il menu ha anche molti piatti di carne) e una “domperignonata”, cioè una degustazione di “annate favolose”. “Pòta, ti trovi meglio qui che a casa, ti sfoghi di tutto!” si dicono due commensali soddisfatti. Ottimo il pane, soprattutto quello di farina gialla (6 euro a testa) ma la mia insalata di mare tiepida è troppo bollita, e la maionese è superflua, come il “pesto delicato”, considerando che il pesce è già condito d’olio. Il signor Vittorio, che mi vede curiosa, ci offre gentilmente un assaggio di una grande orata al forno con carciofi e patate, destinata ai vicini. Anche qui lo stesso problema: pesce, carciofi e patate sono troppo cotti, e sulla già abbondante salsa al vino viene versato ulteriore olio. L’orata è di ottima qualità, ma prima di metterla in bocca devi scolarla. Intanto i vicini fumano di gran carriera, anche mentre mangiano, alcuni addirittura aspirando con le gote risucchiate, come muratori che tra un mattone e l’altro cercassero di respirarsi d’un fiato la sigaretta.
Le “Linguine al ragout di tonno e menta” sono inzeppate dei soliti ciliegini, e sul fondo del piatto resta un dito d’olio. 35 euro sprecati. Non parliamo della bistecca di tonno, resa viscida da una salsa all’aceto balsamico simile a quella che si usava negli anni Ottanta per il petto d’anatra. Ordino il “Gran fritto misto” per cui Vittorio va famoso. Puzza di fritto, è eccessiva la varietà di pesci, ed è caotico anche dal punto di vista estetico: nel marasma ci sono persino patate a striscioline e mele fritte. Mastodontico il carrello dei formaggi e ottima la piccola pasticceria. Infine vieni circondato da ben tre carrelli con cataste di cioccolatini: come non pensare ad Aldo Mondino e ai suoi geniali quadri “bizantini” fatti di cioccolatini Peyrano?
Il conto è sui 150 euro a testa, e te ne vai con l’impressione che in quel ristorante la cucina sia all’insegna di un malinteso: e cioè che la bontà stia nell’abbondanza pasticciata e costosa.
Ristorante da Vittorio, viale Papa Giovanni XXIII, 21 – tel. 035 218060
L'indirizzo è diverso. E' lo stesso locale che si è trasferito?
Se è così i Mangioni lo hanno valutato agli "antipodi" rispetto alla Baresani che, comunque, è un gran piacere leggere.
DA VITTORIO
Indirizzo: Via Cantalupa, 17
24100 Brusaporto (BG)
Telefono: 035681024
Fax: 035680849
info@davittorio.com
http://www.davittorio.com/
Prezzo Min/Max: € 135.00 / € 155.00
Carte di credito: Tutte
Accesso disabili: no
Area fumatori: no
Brunch: no
Pernottamento: si
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