da silbusin il 26 feb 2005 16:18
In origine, la parola "sushi" definiva un metodo per la conservazione del pesce utilizzato nelle zone montuose del Sud-Est asiatico: il pesce affondato nel riso e conservato grazie all’acido lattico liberato dal riso in fermentazione, veniva consumato dopo almeno due mesi. A partire dal XV secolo, si è cominciato a consumare anche il riso con il pesce, quindi è stata introdotta l’aggiunta di aceto (con una diminuzione dei tempi necessari per la conservazione). A partire dall’Ottocento, il piatto ha assunto l’aspetto che ha oggi, con il pesce tagliato in strisce sottili, servito con microporzioni di riso cotto in vapore ed aceto.
La somministrazione di prodotti ittici accuratamente sezionati, ma privi di cottura può costituire un veicolo per malattie infettive, tossinfezioni ed intossicazioni (istamina, ecc…) e, quindi, notevoli rischi per la salute del consumatore. A ciò va aggiunto che i vari tagli di pesce sono serviti insieme a riso, alghe e verdure, che possono costituire un substrato per la crescita dei microrganismi.
Opistorchiasi. È una malattia parassitaria causata da piccoli vermi che possono infestare i pesci d'acqua dolce.
Gli elminti intestinali costituiscono un vasto gruppo di agenti infettivi appartenenti a diverse Classi e generi: le uova del verme vengono eliminate con le feci dall'uomo o dagli animali, contaminano l'ambiente, l'acqua, gli alimenti (anche pesce, crostacei o la carne di alcuni mammiferi).
Di notevole importanza sono, poi, le malattie parassitarie potenzialmente veicolate dal pesce crudo o poco cotto, talvolta con incidenza elevata e, in particolare, le infestazioni da larve di nematodi appartenenti alla famiglia delle Anisakidae. Moltissimi casi sono stati segnalati negli Stati Uniti della costa pacifica, per l’utilizzo di salmone e sgombro nella preparazione del sushi. Le larve possono morire rapidamente o causare, in alcuni casi, ulcere o gravi appendiciti. I parassiti vengono uccisi con la cottura (65°C per 10 minuti) o col congelamento (5 giorni a -20°C).
Particolare importanza assumono alcune fasi della lavorazione, trattandosi di alimenti molto deperibili e destinati al consumo in quanto tali; infatti, si tratta, in genere, di piatti contenenti pesce crudo, eviscerato e pulito al momento del ricevimento e quindi conservato in frigorifero, verdure fresche, riso bollito e ingredienti esotici confezionati. L’assemblaggio del piatto viene effettuato al momento dell’ordinazione da parte del cliente. Sono dunque fondamentali le condizioni di conservazione refrigerata delle materie prime, nonché l’igiene della loro manipolazione.
La carica batterica totale nelle materie prime utilizzate in tutti i ristoranti testati dove si prepara il sushi è abbastanza elevata. I valori ritrovati erano facilmente prevedibili, a causa della intensa manipolazione che i prodotti ittici subiscono (eviscerazione, filettatura, preparazione).
Da un punto di vista normativo, gli unici indici relativi a questa tipologia di prodotti sono contenuti nelle Linee Guida della Regione Lombardia per la ristorazione ospedaliera, che stabiliscono dei valori guida per la conta batterica totale (inferiore a 10 alla 7a u.f.c./g) e la conta di S. aureus (< 2000 u.f.c./g) e nell’articolo 5 della Legge 283/62, che prescrive genericamente l’assenza di patogeni, quali Listeria monocytogenes e Salmonella spp. negli alimenti pronti al consumo. I valori talvolta elevati di carica batterica totale e, in alcuni casi, di coliformi totali (bacilli delle feci), possono essere quindi spiegati con l’intensa e complessa manipolazione che caratterizza questi prodotti e non rappresentano necessariamente un indice di pericolosità; in questo contesto, diventa comunque fondamentale il rispetto delle norme igieniche e comportamentali da parte degli operatori, per preservare i prodotti da contaminazioni da parte di specie microbiche pericolose, la cui presenza nell’ambiente e nelle materie prime non può essere esclusa a priori.
Da qualche tempo poi è sempre più in voga mangiare le specialità giapponesi a base di pesce crudo. Mangiare il pesce crudo riserva rischi per la salute da non sottovalutare dovuti alla presenza di parassiti vivi. Alcuni di questi parassiti, come gli Anisakis, possono riprodursi o sopravvivere nell’intestino umano dopo aver mangiato il pesce crudo. L’Anisakis è un verme che vive nello stomaco dei mammiferi marini e per processo biologico si ritrova nella maggior parte dei pesci che finiscono nelle nostre tavole come l’aringa, il tonno, lo sgombro, il salmone ecc...
L’Anisakis nel pesce c’è sempre stata, il fatto che oggi se ne parla di più non è dovuto all’inquinamento quanto al fatto che la proliferazione e il successo di un certo tipo di gastronomia che vede il consumo di pesce crudo ha portato maggiore consapevolezza dei danni derivanti alla nostra salute quando in questi casi non prendiamo le dovute precauzioni.
La prevenzione è semplice: basta congelare il pesce a meno 20 gradi. La legge prevede che i pesci consumati crudi, marinati o affumicati devono rispettare questa regola. L’altra soluzione è la cottura poiché l’anisakis non resiste a temperature superiori a 60 gradi.
Attenzione anche alle alici marinate, un piatto molto popolare, il succo di limone o il vino non basta ad uccidere il parassita, occorre sempre ricorrere alla refrigerazione. L’anisakidosi si presenta con dolori epigastrici e nausea già alcune ore dopo l’ingestione del pesce crudo. Ai dolori addominali segue diarrea e febbre. Le larve possono penetrare nella parete gastrica o intestinale generando lesioni, emorragie, persino condurre all’occlusione intestinale, sino alla perforazione dell’organo con peritonite.
Bibliografia:
Internet: key word, pesce crudo, malattie.
Pub Med: key word, fish parasites, safe sushi
Università degli Studi di Milano Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la Sicurezza Alimentare