K1 ha scrittoCaro Magilla, ti rilancio la palla: quale sarebbe, secondo te l'atteggiamento da assumere in qualità di membri della grande famiglia de ilmangione?
Quale soluzione proponi per mitigare il disagio del lettore comune di fronte alla precisione del ragioniere?
Insomma, non ti sembra - e questo, lo ammetto, è un mio vecchio ritornello - che già per il fatto che ci incontriamo qui e non da un'altra parte, ci sia una passione comune che non ci rende più lettore comune?
E poi, senza offesa né polemica, trovo francamente un po' qualunquista l'idea stereotipata dell'esperto come lo descrivi tu. Una cosa è l'impressione, il resto è cio che accade: in assenza di fatti conclamati, si tratta di supposizioni, no?
E comunque, alla fine, il bello di questo sito sta proprio nella sua raccolta di impressioni, la più genuinamente eterogenea che ci sia..
Non so naturalmente rispondere.
Vi posso dire qualcosa di me e del mio modo di fare.
Quando vado al ristorante parlo poco con il titolare (o con gli interlocutori che trovo), cerco di sdrammatizzare se ho l'impressione che se la tiri un po' troppo e di fargli capire che l'unica mia intenzione è quella di stare bene in quel posto, che mi affido volentieri ai suoi consigli etc., che non si senta troppo in dovere di esaltarsi e di mettermela giù dura, che in fondo le "messinscena" sono apprezzabili come gioco, recita o rappresentazione, ma che poi la vita è un'altra cosa (anche se un buon pranzo è una gioia che può migliorare la vita). E che il massimo che mi aspetto è mangiar bene in buona compagnia e in un ambiente rilassante e “che non rompesse troppo” perché - se non canzonette, - le sue sono solo “ricette” e la mia nonna era bravissima in cucina e aveva una fantasia da creativa nell’impiego degli avanzi… (qualunquismo - certo - delle rimembranze e delle “buone cose del tempo andato”).
Se sono ospite o l’occasione è conviviale programmata (trappola in cui casco rarissimamente), mi astengo dal giudizio sul locale (giudicando se mai la serata in sé): questo è il tipico errore dell’Accademia della Cucina (e a volte - mi sembra - anche un po’ del Mangione conviviale).
In tutti gli altri casi, pago sempre di tasca mia senza millantare o declinare appartenenze, propensioni alla critica, hobby più o meno strutturati etc. e non chiedo mai sconti (sarò presuntuoso, ma lo sconto mi metterebbe in condizioni di "dipendenza" la volta successiva; e questo non mi va: sottrarrebbe piacere al futuro).
E cerco di non avere troppa confidenza con i ristoratori. Sapete che bello potersi godere l'anonimato totale (pseudonimo alla prenotazione etc.) e guardare gli altri e se stessi come in un film? Se non mi trovo bene non avrò alcuna soggezione a raccontarlo agli amici (caso 1), se invece, dopo un po' di tempo, ne ho un buon ricordo (caso 2), allora vuol dire che il posto è davvero meritevole e consigliabile a qualunque amico "sconosciuto" e non raccomandato. Salvo poi sentirmi riferire di un'esperienza negativa (caso 2) dallo stesso amico da me consigliato in buona fede (i gusti, l'occasione...) o, al contrario (caso 1), a leggerne una recensione positiva da qualche parte (guida cartacea, giornale, rivista, sito o salotto di sapientoni).
Il vero giudizio di un posto, di un'esperienza, lo posso dare (provvisoriamente) dopo il conto, poi (più solidamente) il giorno successivo, quando ho verificato la digestione, quindi (più definitivamente) dopo qualche tempo quando il ricordo e il confronto con altre esperienze tempererà gli entusiasmi eccessivi o minimizzerà le subitanee delusioni (il tempo è sempre maestro: per questo la recensione immediata mi pare talvolta un po' intempestiva). L’esperienza (ecco il vero esperto) serve proprio a ridurre il tempo di sedimentazione necessario per poter formulare un giudizio, seppur soggettiva, “evidence based”, attendibile e condivisibile dal maggior numero possibile di consigliati, indipendentemente dal “campione” di appartenenza (Mangioni VIP o di passaggio, sfigati famelici irretiti dalla rete o soloni del gusto…).
Per tutto questo apprezzo molto i racconti in buon italiano (e ne trovo di bellissimi nel
nostro sito) di chi
mi pare un cliente normale: certo che è un'impressione, ma che cosa ci può riguardare degli altri (che non conosciamo bene) se non la percezione che di essi abbiamo?
Forse non entro in un ristorante per assaggiare la cipolla caramellata o verificare se l’albuginea degli attributi di toro è come l’ho trovata descritta dal critico di fiducia… anche se – confesso – la curiosità è la prima tappa della conoscenza, anche scientifica (il cibo è cultura, ma mangiar-fuori, se diventa un lavoro …....... - come diceva Pavese – “lavorare stanca”).
Un po' prolisso vero?
Per ora basta.
A voi.