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Motta e Alemagna tornano in Italia

da Fante il 05 giu 2009 15:00


Motta nasce nel 1919 in un piccolo laboratorio artigianale in via Chiusa. A fondarla è Angelo Motta. Nella metà degli anni Venti si espande e apre diversi negozi in città. Negli anni ’70 la Motta viene venduta alla Sme, la società finanziaria del gruppo Iri. Nel 1993 vende i marchi alla svizzera Nestlé.


La parabola di Alemagna comincia nel 1921 a Melegnano. Gioacchino Alemagna che aveva lavorato come garzone da un fornaio nel 1925 apre un caffè a Milano e nel 1933 un bar pasticceria proprio in piazza Duomo. Negli anni del boom apre stabilimenti anche a Napoli. Negli anni ’70 la crisi, la vendita prima a Sme e poi a Nestlé.


Torna il panettone dei milanesi
Motta e Alemagna lasciano la Svizzera

La Bauli ha comprato i due storici marchi, simboli del boom economico, dalla Nestlé

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Aaaaaaah, il panetun....

Il panettone che si mangiava solo due giorni e poi si teneva una parte fino a feb­braio per San Biagio che «ti protegge dai mali della gola»

Alemagna e Motta che c’era dentro tutto il sogno di chi ce l’aveva fatta. Due nomi che parevano usciti dall’ufficio di un creati­vo della pubblicità. Ci leggevi la concretez­za e la voglia di tirarsi su le maniche. Storie di provincia finite nell’angolo più bello di piazza Duomo. Gioacchino Alemagna, il pic­colo orfanello che diventa garzone di un pa­nettiere. E poi su fino a sfidare Rockfeller. Per una coppia di cigni di porcellana che il magnate americano aveva visto ad un’asta e lo sveglio milanese gli aveva portato via sotto il naso. E il miliardario a «stelle e stri­sce» che spendeva milioni in telefonate per convincere Alemagna che dei cigni di por­cellana, in fondo, non gli importava gran­ché. Il cumenda che non dimenticava le sue origini, l’odore della nebbia e la fame che ti morde lo stomaco.

Angelo Motta che arriva a Milano con mezza lira in tasca da Villa Fornaci di Gessa­te. Il primo lavoro quando gli altri vanno an­cora a scuola. Anche lui in una panetteria. La fatica, l’inventiva, la costanza tutte am­brosiane. E anche quando diventerà il «sciur Angelo» resterà il ragazzo di prima della Grande Guerra. Aveva trovato la for­mula giusta per il lievito e il suo panettone sapeva di buono solo a guardarlo da dietro la vetrina. Lavora anche di notte e in città si sparge la voce di un «certo Motta» che è di­ventato un mago. E forse non è un caso che Angelo Motta muoia un 26 dicembre. Quasi a non voler «disturbare» il Natale che, ades­so, con il panettone era anche un po’ suo.



Bè, diGiamolo, mangiare il panettone quest'anno sarà un po' più bello :D

da Bob il 05 giu 2009 15:14


Bella Notizia, Fante.....
A me piace moltissimo il panettone delle Tre Marie, ma, se devo essere sincero, mi mancavano da morire quella grossa M con le guglie del Duomo, e la Grossa A arabescata.....
Quelli della mia generazione sono cresciuti a Mottini, un micropanettone monoporzione, l'antesignano delle merendine di oggi. Sul Corriere dei Piccoli ( e ce li ho tutti, quelli di quel periodo) c'erano le avventure di Mottino, un ragazzo, se non erro, in abito da marinaretto come era obbligo per i bambini "bravi e buoni", che, ovviamente, faceva faville proprio perchè mangiava il Mottino, un po' meglio che gli spinaci di Bracciodiferro.....
La passeggiata al Motta era un must, per la borghesia di allora, e il caffè era conosciuto in tutta Milano, con relativo "segreto" (che poi era una punta di cacao nel sacchetto.
Hai ragione: un panettone Motta, quest'anno,non me lo leva nessuno.

"Sul vino, bevo qualunque cosa mi raccontiate, sul cibo, ci mastico abbastanza"

da Fante il 05 giu 2009 15:18


Io ricordo il Motta in piazzale Cadorna :D
Era un trionfo di dolci dolcetti...e l'Alemagna di via Manzoni? con la sala da tè...
Quest'anno me ne ciuccio almeno una decina di panettoni, ciumbia!

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