Orpo... Talebano sopra... Monty sotto...
Ed io davvero non dico nulla?
Proverò a dire qualcosa, da povero pirla ignorante qual sono, ma cercando di non fare la figura di quello che proprio non riesce a star zitto ed allora deve parlare.
Leggendovi mi sono fatto una piccola idea a riguardo. La piccola idea è quella di un mondo, quello enologico, che sta subendo le "mutazioni" imposte dalla modernità: prodotti chimici, tecniche intensive, sfruttamento dei terreni, obiettivo di massima resa per ettaro e così via. Dall'altra parte, però, c'è chi "resiste", chi è ancorato ai metodi della tradizione che "pagano" in qualità perdute. Tra questi due mondi si crea sempre una certa acredine, ma soprattutto, al giorno d'oggi, nasce sempre qualche movimento
giovane che rifiuta la modernità nel nome del recupero della tradizione, andando però a confondere ciò che era abitudine con ciò che era folklore, facendo un po' di confusione, mescolando e mischiando punti di vista diversi e a volte buffamente conciliabili.
Questo terzo mondo giovane mi pare quello del manifesto dei vini biodinamici.
Dal mio punto di vista, forse molto vicino a quello di Gabriele, resta una iniziativa lodevole, ma che necessità davvero di una rigorosa formalizzazione, in modo tale da rendere "codificata" la tradizione e permettere al mondo che essa non vada persa in nome del progresso. Da questo punto di vista, anzi, vedo i "biodinamici" molto più importanti di chi si allinea alla modernità. Ma sono consapevole, in un certo senso, che tale codificazione è un passaggio difficilissimo e che solo raramente riesce.
Sperando che un ignorantone come me non abbia detto troppe vaccate ma anzi abbia stimolato ulteriormente il dibattito, vi saluto