silbusin ha scrittoA proposito dei vini tripla A e biodinamici, interessante su http://www.tigulliovino.it/iniziative/i ... ino_19.htm
l'articolo di Filippo Ronco.
Ecco il manifesto di Luca Gargano, pioniere dell biodinamicità del vino:
“A” come Agricoli - soltanto chi coltiva direttamente il vigneto può instaurare un rapporto corretto tra uomo e vite, ed ottenere un’uva sana e matura esclusivamente con interventi agronomici naturali.
“A” come Artigiani - occorrono metodi e capacità “artigianali” per attuare un processo produttivo viticolo ed enologico che non modifichi la struttura originaria dell’uva, e non alteri quella del vino.
“A” come Artisti - solamente la sensibilità “artistica” di un produttore, rispettoso del proprio lavoro e delle proprie idee, può dar vita ad un grande vino dove vengano esaltati i caratteri del territorio e del vitigno.
E ancora:
I vini Tripla A possono nascere solo:
1°) da produttori agricoltori che coltivano i vigneti senza utilizzare sostanze chimiche di sintesi rispettando la vite e i suoi cicli naturali. (In pratica occorre seguire le direttive europee previste per l'agricoltura biologica e/o per l'agricoltura biodinamica).
2°) da uve raccolte a maturazione piena. (Cioè perfettamente equilibrate in quei parametri biochimici indispensabili per ottenere un vino naturalmente armonico e pieno).
3°) da uve perfettamente sane. (Bisogna avere il coraggio di scartare le uve attacate da qualsiasi malattia, perchè da esse non si possono mai ottenere vini sani e qualità).
4°) da uve dove il tempo tra la vendemmia e la pressatura è minimo. (E' una regola di base che a volte viene disattesa. Alcuni difetti dei vini nascono da fermentazioni anomale già nei contenitori di raccolta).
5°) da mosti ai quali non venga aggiunta ne’ anidride solforosa ne’ altri additivi. (Possibile solo con uve sane e perfettamente mature).
6°) utilizzando lieviti autoctoni ed escludendo i lieviti selezionati. (I lieviti autoctoni trasmettono al vino un'impronta irripetibile, e si trovano su tutte le uve. Ma se i grappoli non sono perfettamente sani e maturi i lieviti autocnoni non si possono usare. Per facilitare la fermentazione con lieviti autoctoni basta premoltiplicarli creando un "pied de cuve").
7°) senza interventi chimici o fisici, prima e durante la fermentazione alcolica, diversi dal semplice controllo delle temperature. (Permesse piccole dosi di anidride solforosa dopo la vinificazione per i vini dolci, e prima dell'imbottigliamento per gli altri vini. Sono tassativamente esclusi gli interventi di concentrazione attuati con qualsiasi metodo).
8°) maturando sulle proprie “fecce fini” fino all’imbottigliamento. (Le fecce fini svolgono una funzione di autoprotezione per il vino, ed assicurano maggior stabilità, personalità e longevità)
9°) non modificando nessun parametro chimico. (Se uve e vino sono equilibrati non c'è bisogno di alcuna correzione)
10°) non filtrando o chiarificando prima dell’imbottigliamento o facendolo in modo molto blando. (La filtrazione e la chiarifica impoveriscono il vino, e ne modificano la personalità tanto faticosamente ottenuta in precedenza).
http://www.enotime.it/zoom/triplea/mani ... ipleA.html
http://www.velier.it/introduzione.htm
Che dire?
Buona giornata a tutti, sono talebano e vorrei contribuire a dipanare la matassa dei bio. Cercherò di farlo in modo semplice e ricettivo. A sette anni pestavo l'uva nelle botti per poi procedere alla fermentazione coi lieviti indigeni, poi la cantina ecc.; lo possiamo considerare un processo biologico?
Si usava solo una soluzione di solfato di rame per la parte fogliare della vite, onde preservarla da attacchi parassitari. Il vignaiolo, oltre a curare la vite, guardava la luna ( anche oggi le semine vengono effettuate rispettando i tempi planetari, (ne convenite?), teneva conto delle pioggie stagionali, del sole, del vento ( secco o umido) delle maree ecc.
Quest'atteggiamento lo possiamo chiamare biodinamico?
A parer mio ritengo, dopo quarant'anni di approfondimento, di constatazioni e di assaggi che i due bio si integrano. La valutazione l'ho potuta fare sul campo di lavoro, vedendo, ascoltando, valutando e bevendo tantissimi vini, ma proprio tanti. Tutto quello che viene scritto non mi interessa, tanto meno le teorie da fantascienza.
Concludo: la vite è solo la parte fogliare della liana, si è una liana, la radice è l'attrice principale; è lei che deve scavare, cercare, surgere e trasmettere al frutto il suo estenuante lavoro. Si deve autoproteggere e se muore, si fà come a Sparta, giù dalla rupe! Ricordo che Gravner, Valentini, Maule, Massavecchia per citarne qualcuno, fanno AGRICOLTURA CON LE MANI.
Questo è solo il mio punto di vista, il resto non lo leggo, pur facendo parte del comitato di redazione di una buona rivista specializzata, il cui editore mi strapazza per le troppe querele che arrivano puntalmente da parte di chi il vino lo compone in cantina. Non interverrò ancora nella discussione, sarò lieto di confrontarmi sul tema, con i magnifici mangioni che parteciperanno al pranzo della Palta, dove ci sarà una sorpresa per voi tutti da parte mia.
Vorrei tranquillizzare il pregevole SILBUSIN, dicendogli che quando accuso malesseri particolari allo stomaco, bevo se è a portata di mano un sano bicchiere di Breg.Grazie a tutti per aver avuto la pazienza di leggermi e per quelli che non potranno partecipare all'evento, formulo affettuosi auguri per il Natale. Bruno talebano